Avremmo potuto con irresponsabile disinvoltura titolare questo pezzo “Le Pietre di Venezia”, e immaginarci dei novelli John Ruskin, cantori dell’infinita bellezza di questa città e strenui difensori della sua fragile architettura. La storia è nelle pietre, certo, ma la storia delle pietre? Questo è per l’appunto un piccolo racconto senza alcuna morale, che ha per protagonisti dei manufatti architettonici tanto cari a John Ruskin, un racconto fatto di costruzioni, demolizioni, innesti e sottrazioni.
Se accenniamo a un po’ di storia di Venezia è solo perché Il nostro viaggio inizia con una congiura a Palazzo Ducale. “Hic fuit locus ser Marini Faletri, decapitati pro crimine proditionis” sta scritto su un drappo nero a coprire il volto del Doge Marin Falier. Lo noterete sicuramente passando in rivista i 76 ritratti di dogi appesi ai tre lati della Sala del Gran Consiglio (è il 55°).
Il doge traditore ci offre la possibilità di accennare a un’altra congiura che si consumò nel 1310 e che lo vide ancora protagonista, questa volta, ironia della sorte, contrapposto ai congiurati Marco Querini e Bajamonte Tiepolo, nella veste di membro del Consiglio dei X, il baluardo dell’ortodossia repubblicana.
La storia politica si riflette nella storia architettonica della città non solo quando si tratta di celebrare, ma anche quando si tratta di cancellare. La passeggiata che segue ci porta sulle tracce dei congiurati attraverso la storia delle pietre che gli appartenevano e dell’inutile tentativo di cancellarne ogni traccia.
Incamminiamoci verso Campo Sant’Agostin, quindi. A fatica troverete tra un “masegno” e l’altro una targa che reca la scritta “LOC. COL. BAI. THE. MCCCX”, ovvero” Luogo della colonna di Bajamonte Tiepolo 1310”. Qui infatti sorgeva la colonna dell’infamia. Le abitazioni di Bajamonte furono rase al suolo, ma i suoi marmi furono riutilizzati per erigere la chiesa di San Vio. Cambiamo sestiere dunque e rechiamoci nell’omonimo campo. Ora verrebbe da dire che Ossa si sovrappone a Pelio, perché si dà il caso che anche la chiesa di San Vio non ci sia più, vittima sacrificale della razionalizzazione urbana, ma non temete: i marmi di Bajamonte sono duri a morire e sopravvivono all’ennesima distruzione. Con tutta probabilità sono quelli che potete ancora ammirare sulla facciata dell’omonima Cappella di San Vio, ora trasformata in abitazione privata.
Facciamo visita ora al secondo congiurato e rechiamoci al mercato di Rialto. È qua che sorgeva il palazzo della famiglia di Marco Querini. L’ira della Serenissima si abbatté anche sulle sue proprietà ovviamente, che vennero rase al suolo. Ma non preoccupatevi, anche in questo caso la dissoluzione non è totale. Ammirate le arcate del mercato del pesce di Rialto: la vulgata ci dice che con tutta probabilità sono i medesimi marmi che incorniciavano i balconi della sua dimora borghese.
Nulla si distrugge, tutto si trasforma, verrebbe da dire.
C.S.