Poche vetrine, un luogo minuto, in confronto alla grandiosità della piazza in cui è inserito. E’ fine autunno e la luce del pomeriggio scalda le facciate delle Procuratie Nuove e del Correr. Al lato opposto il Negozio Olivetti, brillante e poetico esempio dell’architettura del Novecento.
Si comprende subito che quelle vetrine raccontano una storia luminosa, una eccellenza italiana, da Adriano Olivetti al FAI.
Realizzato dall’architetto veneziano Carlo Scarpa nel 1958, è un luogo speciale, concepito per essere molto più di un punto vendita, ma uno showroom, un punto espositivo che incarni la qualità e l’innovazione perseguite dalla Olivetti.
Il lavoro di Scarpa si fonda sul preesistente, un ambiente all’apparenza infelice, stretto, lungo e poco illuminato. Progetta diverse zone cromatiche, prima l’area rossa, poi bianco-grigio nel centro, nel retro il giallo.
Fulcro della pianificazione la splendida scala collocata al centro della sala, non più solo accessorio funzionale, ma snodo cardine dello spazio. Un vero capolavoro, opera con l’anima, con i suoi perni di montaggio in evidenza e i gradini sfalsati tra loro come sospesi.
E ancora la scultura Nudo al sole, di Alberto Viani, inserita sopra una base in marmo nero, sfiorata da un velo d’acqua in leggero movimento.
Il pavimento del negozio è realizzato con un mosaico in tessere di vetro, irregolari a dare un senso di mobilità, come se la superficie fosse coperta da un sottile strato d’acqua delle maree lagunari. Limitati e selezionatissimi i materiali: marmo carsico, palissandro, teak africano, ebano, stucco veneziano. Belle le vetrine in cristallo molato, montate a filo di facciata, che presentano a vista le viti piombate tipiche di Scarpa.
Lo spazio si caratterizza per la ricchezza di dettagli ed elementi decorativi, i frequenti rimandi alla tradizione veneziana, un influsso giapponese tipico di Scarpa e l’attenzione alle trasparenze.
Prodotti storici del marchio Olivetti qui esposti sono, tra gli altri, la Divinasumma, prima macchina da calcolo aziendale e la celeberrima Lettera 22 del 1950.