Giorgia Starace è founder di 2091, un negozio e un brand di abbigliamento e accessori a edizione limitata dal gusto eclettico com’è lei. Originaria di Roma, è arrivata a Venezia per la prima volta a ventanni, per motivi di studio, costruendo fin da subito un legame indissolubile con la natura estetica e la dimensione umana della città. Negli anni successivi, l’idea di tornare non l’ha mai abbandonata. E così, nel tempo, Giorgia è riuscita a costruire un modello di business che le ha consentito di restare, e di costruire con Venezia in modo personale, intimo, tutto per sé. In questa intervista per Gli Incurabili, Giorgia ci racconta della nascita del suo brand, della sua natura concreta di “donna di marketing”, dei suoi luoghi del cuore, e dei valori e ispirazioni che guidano le sue scelte.
INTERVISTATA DI VALERIA NECCHIO
FOTO DI GIORGIA STARACE // RITRATTI DI VALERIA NECCHIO
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VN: Partiamo dall’inizio. Raccontami cosa ti ha portato a Venezia per la prima volta.
GS: Sono arrivata trent’anni fa grazie a un Master in Marketing e Comunicazione d’Azienda. Ero laureata in lettere, quindi non ne sapevo molto della materia, però la comunicazione mi affascinava, quindi ho fatto la selezione, e, abbastanza inaspettatamente, mi hanno preso. E così, ho fatto questo anno a Venezia, in Fondamenta Briati, da settembre a marzo. Questo è stato il mio primo capitolo veneziano, il primo impatto con un luogo più silenzioso e uggioso di quello da dove venivo (Roma), ma che mi ha conquistata subito. La presenza dell’acqua, in particolare, è qualcosa che mi piace: il movimento, la luce, i suoni. Anche Roma un po’ ce l’ha, ma Venezia è unica in questo. Quello per l’acqua –– e di conseguenza per Venezia – è stato un amore folle.
VN: Che cosa ti è rimasto di questi mesi?
GS: Io dico sempre che Venezia ti segna, ti scava qualcosa dentro. Ma in mezzo ci sono comunque stati 20 anni di Milano… dopo il Master, uno stage mi ha portato a Milano, e lì sono rimasta per lavorare, prima in agenzie pubblicitarie e poi nel marketing nel settore del lusso –– quindi pubblicità tradizionale, eventi, PR. E poi sono rimasta incinta e per i successivi sette anni mi sono dedicata ai miei figli. Ed è stato in quel periodo che mi sono accorta che in me rimaneva l’idea e il desiderio di tornare a Venezia. Tornavo spesso, ma farlo come turista non mi soddisfava. Volevo escogitare un sistema per tornare quantomeno part-time, mantenendo l’appoggio di Milano per la mia famiglia. La mia idea è sempre stata che, se fossi riuscita a tornare a Venezia, ci sarei tornata per starci. Ed è un percorso che sto compiendo da me.
VN: Com’è nata la passione per il retail?
GS: Non appena i miei figli hanno iniziato ad essere autonomi, ho risposto alla mia esigenza di rimettermi a fare cose, anche se anche in quel periodo non è che fossi esattamente ferma –– sono una persona che si industriava molto. Quindi ho cominciato con i temporary store, prima a Milano e poi, nel tentativo di trovare qualche legame con Venezia, ho preso contatto con un’architetta veneziana che li stava facendo in città con l’idea di instaurare con lei uno scambio Venezia-Milano. Abbiamo collaborato per parecchi anni ed è stata un’esperienza che mi ha insegnato tantissimo: quello dei temporary store è un mondo dove lavori con categorie merceologiche sempre diverse che entrano ed escono velocemente, perciò è come se fosse un Master accelerato. Se ti piace, se ti interessa, impari, e io ho imparato molto, ma nel tempo mi sono accorta che il concetto di temporary non mi appagava più, volevo qualcosa di più stabile, che mi consentisse di stare in città non in maniera saltuaria ma più prolungata. Sentivo davvero l’esigenza di trascorrere più di qualche giorno, di entrare in simbiosi come avrei voluto.
VN: Ed è così che è partito il progetto 2091.
GS: Dopo un po’ di tempo ho trasformato il temporary in un negozio di abbigliamento e accessori che si chiama 2091 e prende il nome del civico di San Polo che ci ospita. Avere un’attività fissa mi costringeva, in un certo senso a venire in città almeno una volta ogni 10 giorni e a starci per un po’ di giorni. In seguito, per una necessità di differenziazione –– perché Venezia sa essere molto competitiva, nel senso che il pubblico, soprattutto nei mesi invernali, è piuttosto ristretto –– è nato anche il brand 2091, una linea di capi creati in esclusiva per il mio negozio. E per ultimo è partito un altro piccolo negozio di accessori e oggetti per la casa, a Rialto, un atelier piccolo, una cosa bella e poco remunerativa ma che mi dà molta gioia. Insomma, tutto il progetto ha ormai 5 anni e da allora le mie percentuali di permanenza a Venezia sono aumentate sensibilmente, ed era esattamente quello che volevo. Adesso riesco a passare il 50% del mio tempo qui nei mesi invernali, e il 90% nei mesi estivi. Quindi la missione incurabile è quasi completa (ride, ndr), e sicuramente mi sento parte della residenzialità, perché sono qui abbastanza tempo da viverla, ma soprattutto non prendo niente di più di quello che mi serve per stare, è una cosa che si autoalimenta, senza avidità. E credo che questo accada quando provi questo sentimento puro nei confronti della città.
“Venezia per me è bellezza, è libertà. Ho viaggiato parecchio nella mia vita per poter riconoscere dei sentimenti e delle sensazioni legate ad un luogo. E Venezia è sempre stata l’unico posto dove, mentre arrivo (sul ponte della libertà), mi si apre proprio un sorriso. È una cosa proprio di pelle, assolutamente istintiva.”
VN: Trovo particolarmente significativo il fatto che tu abbia mantenuto questa dimensione personale, intima e tua con la città.
GS: Sì, è una dimensione interessante, diversa dall’essere con la famiglia, con le dinamiche e i tempi che ti dettano le famiglie. Sono io e la città. Venezia per me è bellezza, è libertà. Ho viaggiato parecchio nella mia vita per poter riconoscere dei sentimenti e delle sensazioni legate ad un luogo. E Venezia è sempre stata l’unico posto dove, mentre arrivo (sul ponte della libertà), mi si apre proprio un sorriso. È una cosa proprio di pelle, assolutamente istintiva.
Volevo ritrovare quella sensazione. Ed è per questo che voglio assolutamente fare in modo che il business veneziano si mantenga, perché è quello che mi consente di stare a Venezia. Quindi io sono attaccata con le unghie e con i denti e veramente molto protettiva di quello che faccio. Questa è la mia motivazione più forte: io ho bisogno di rimanere qui. Ci metto tutta l’energia, la passione, tutta la forza. Per questo ne sono anche un po’ gelosa, come lo sono di Venezia. La vorrei tutta bellissima, ma sono anche una donna di marketing e mi rendo conto che se ci fossero tanti negozi tutti belli, sarebbe un mercato ingestibile. Sono parte dei mixed feelings da gestire nel momento in cui si sceglie di stare qui.
VN: In che modo Venezia influenza le tue scelte imprenditoriali?
GS: I negozi sono sempre pensati in primis per Venezia e per le veneziane. E per fortuna, perché sono state le veneziane che ci hanno aiutato a sopravvivere nei periodi di difficoltà di qualche anno fa, quelli in cui non c’era più nessuno. E poi, avendo un gusto un po’ internazionale ed eclettico, piacciamo anche molto a chi viene da Milano o dalle città europee. Il negozio di abbigliamento rimane comunque un mix di brand, non è uno store monomarca di capi 2091. Cerco di essere rivolta a tutte le età, anche alle ragazze di 25 anni, e per fare questo occorre avere prezzi accessibili. Quindi il mio compito è quello di selezionare capi che, sempre seguendo il mio gusto e il gusto del negozio, possano rispondere al desiderio e al piacere di potersi permettere di acquistare qualcosa da noi. Alla fine, sono una donna di marketing prima che una creativa. L’abbigliamento ha sempre avuto un certo appeal su di me, mi piace, ma non sono mai stata particolarmente attenta alla moda, sono scevra da riferimenti di questo tipo, mi guidano altri principi. E il marketing è molto buon senso, alla fine: devi semplicemente guardare, capire, ascoltare. E io cerco di guardare sempre alle mie clienti. Il mio brand si è sviluppato un po’ così, stando in negozio, parlando con tante persone. I negozi sono un bellissimo luogo di conversazione e conoscenza che mi tengono la testa sveglia e stimolano nuove idee e soluzioni.
VN: Come è evoluto il tuo gusto stando in città?
GS: Il mio gusto, come nel caso di tante, è stata una scoperta e un’evoluzione. Credo di aver sempre avuto una vaga idea di cosa fosse, ma l’ho scoperto e affinato nel tempo. Alla fine, quando vai a scegliere un tessuto o quando decidi che modello fare con quel tessuto, lì entra sempre qualcosa di personale. Ho sicuramente un’anima un po’ vintage, una passione per gli anni 50, per certi tipi di silhouette. Forse quello che più mi ha influenzato in questo senso sono i vecchi film che guardavo con mia madre. E poi, al di là delle mode, mi piacciono i capi che una si prende e continua a tenere e vuole continuare a usare sempre, di cui non si stufa. Sono questi i capi che provo a selezionare e a proporre, sempre con la volontà di rimanere accessibile, appunto.
“Venezia ha bisogno di più vita, di gente che ci viva, perché se poi la gente ci vive, il servizio viene fuori, è una questione di tentare di stimolare domanda e offerta, e di farlo in modo intelligente, guardando ai numeri, guardando all’economia, e a quello di cui c’è necessità.”
VN: Cosa manca a Venezia, secondo te?
GS: Per deformazione professionale mi capita spesso di fare il business plan a ogni vetrina sfitta che incrocio, nell’ottica di completare la città con quello che manca. Quando stavo in Piscina San Samuele, me ne accorgevo perfettamente: mancavano proprio i servizi di base. Non è neanche una questione di negozio di paccottiglia vs negozio bello, perché in quell’angolo della città ci sono negozi bellissimi. E’ più una questione di cose che servono vs cose che non servono –– che non rispondono a un bisogno essenziale, come ad esempio comprare il pane. Ecco, questo lato di Venezia ha bisogno di più vita, di gente che ci viva, perché se poi la gente ci vive, il servizio viene fuori, è una questione di tentare di stimolare domanda e offerta, e di farlo in modo intelligente, guardando ai numeri, guardando all’economia, e a quello di cui c’è necessità.
VN: I tuoi posti preferiti in città?
GS: La passeggiata delle Zattere è uno dei miei posti del cuore. Se mi immagino dove stare nei prossimi anni, mi piacerebbe stare lì. C’è tanta acqua, c’è tanta luce. E in generale amo Dorsoduro. La mia prima casa era dietro Campo San Barnaba, e il master era in Fondamenta Briati, quindi è proprio la zona che conosco meglio e a cui sono più affezionata. Guadagnando del tempo, sono riuscita anche a concedermi quello che per me è il più bel passatempo dell’universo, ovvero passeggiare, e dunque esplorare, spingermi oltre. Quando posso, lo faccio con qualsiasi temperatura. La luce e il silenzio, i riflessi dell’acqua…sembra una grande banalità, ma finché ti soffermi a guardare queste cose significa che provi stupore, emozione, e fintanto che non smetterò di farlo, non smetterò di tornare e di voler stare.