Lara Morrell lavora da anni nel mondo dell’arte contemporanea e della fotografia ed è redattrice di My Art Guides, una pubblicazione che raccoglie e racconta le mostre e gli eventi più interessanti che si tengono durante le principali manifestazioni d’arte internazionali, come la Biennale di Venezia e Art Basel. Londinese, è arrivata a Venezia nel 2015 e si è stabilita da subito sull’isola della Giudecca, dove vive tuttora, e dove negli anni ha costruito attorno a sé una comunità affiatata di persone che sono diventate la sua seconda famiglia. In questa intervista, Lara ci parla del suo amore per gli spazi liminali, della sua passione per la voga tradizionale e per la navigazione, e dell’alternanza rigenerante tra produzione creativa e lavoro curatoriale.
INTERVISTATA DI VALERIA NECCHIO
FOTO DI LARA MORRELL / RITRATTI DI VALERIA NECCHIO
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VN: Raccontami di come e quando sei arrivata a Venezia. È stato intenzionale o casuale?
LM: Un po’ di entrambe le cose. Sono nata e cresciuta a Londra. Poi, a 18 anni, sono partita per l’India, dove ho trascorso circa un anno. Lì ho incontrato il mio ex, che era di Torino. Dovevo tornare a Londra per studiare alla Goldsmiths University, ma tendo sempre a seguire il mio cuore, quindi ho deciso di trasferismi a Torino. Ho vissuto lì per 4 anni, ho studiato fotografia allo IED e ho insegnato inglese per sostenermi durante gli studi. Poi mi sono trasferita a Lecce e ho vissuto lì per tre anni coltivando pere durante il giorno e approfondendo la mia pratica artistica di notte. È stato lì che ho realizzato di avere ancora ambizioni come artista, così ho fatto domanda per un master alla St Martins a Londra, e mi hanno accettata per fare fotografia artistica. È andata bene, ero molto concentrata su ciò che stavo facendo e mi sono assicurata di portare a compimento tutte le mie idee, e per questo ho ricevuto diversi riconoscimenti. Eppure, sapevo che la vita a Londra non era più per me, ormai ero diventata e mi sentivo italianizzata. Così, nel 2015 sono venuta a Venezia per vedere la Biennale e ho pensato: “Potrei vivere qui”.
VN: E hai deciso di provare.
LM: La mia pratica in quel periodo era basata su concetti di liminalità e sulla natura incerta e fluida che questo stato soglia comporta. Venezia mi sembrava molto stimolante da questo punto di vista, dal movimento dei corpi celesti e la loro influenza sulle maree e lo spazio tra la terra e il mare. Venezia mi permetteva di essere presente in un luogo pur rimanendo alla deriva, fluida, piuttosto che fissa, ancorata o completa.
Ho iniziato a insegnare inglese di nuovo (in tutte le scuole secondarie locali – Vernier, Liceo Artistico e Classico, Vendramin Corner, Algarotti) e allo stesso tempo ho iniziato a lavorare regolarmente con un designer alla Venini a Murano, ad esplorare il mondo del vetro, e a trascorrere molto tempo alla biblioteca alla Fondazione Cini. Ho lavorato anche come ufficio stampa internazionale con Elena e Francesca di Casadorofungher, e quest’esperienza mi ha dato uno sguardo più consapevole sul mondo dell’arte a Venezia.
Poi, per la prima Venice Glass Week, ho presentato un’installazione chiamata ATRAMENTAL: una serie di boe di vetro, riempite di nero seppia a rappresentazione delle diverse fasi lunari. Nel corso della mostra ciascuna boa di vetro era ancorata alla misura esatta della marea astronomica sopra il livello del mare in base alla fase lunare e al giorno che la boa rappresenta. C’erano molti livelli di significato nel progetto: la boa doveva anche alludere alla forma dell’utero, e mentre camminavi nella stanza potevi sentire il suono di ciò che il feto sente dall’interno dell’utero, un battito cardiaco e un suono che assomiglia alle maree fluttuanti. Tutti i miei pensieri e sentimenti dell’epoca- inclusi quelli legati al mio vivere a Venezia – sono stati consolidati in questa installazione.
VN: Come hai vissuto il passaggio da una pratica creativa a una più editoriale [per The Art Guides]?
LM: Quando sei sommersa dai comunicati stampa che parlano dei progetti altrui, diventa difficile concentrarsi sui propri, ma va bene, è una fase. Era più facile quando raccoglievo pere a Lecce: avevo tempo per elaborare e per pensare. D’altra parte, questo lavoro redazionale mi sta dando l’opportunità di incontrare artisti molto importanti e di intervistarli, parlarci, andare nei loro studi, e questo continua ad essere fonte di ispirazione in diversi modi, perché non è poi così evidente che siano qui e che stiano facendo le cose meravigliose che fanno. Poter parlare con gli artisti e capire il loro linguaggio è qualcosa che mi viene naturale e che non smette di affascinarmi.
VN: Hai anche un rapporto molto naturale e intimo con l’acqua.
LM: Una delle prime persone che ho incontrato, uno dei miei pilastri veneziani è un signore di nome Silvio Testa, un giornalista e scrittore ma anche un bravissimo canottiere, nonché uno dei fondatori della vogalonga. Ci siamo incontrati casualmente al Negozio Olivetti e abbiamo cominciato a parlare. Ad un certo punto lui mi fa: “Beh, tu potresti insegnarmi l’inglese e io ti insegno a vogare”. Insomma, lui non è andato molto lontano con l’inglese, ma io invece ho imparato a vogare e da allora ho fatto sei vogalonga con lui. Mi ha introdotto alle tradizioni di navigazione veneziana fin da subito, e ho trovato quel mondo estremamente affascinante. Da allora, il mio sogno è sempre stato quello di avere la mia barca a Venezia, e inizialmente l’idea era di avere una barca a remi, poi però ho pensato che, lavorando a Cannaregio e vivendo alla Giudecca, avevo bisogno di qualcosa di un po’ agile e a motore. Faccio anche parte della remiera locale, quindi posso andare a prendere una barca a remi quando voglio. Così è nata l’idea finale per Wendy, la mia barca, che è un incrocio tra una cacciapesca e un cofano.
VN: Hai lavorato tu al progetto e al disegno della barca?
LM: È stato un processo collaborativo, ma Wendy è stata costruita da Matteo Tommasi –– una persona adorabile, un professionista impeccabile e meticoloso. Matteo ha un piccolo laboratorio alla Giudecca ed è da solo, quindi costruisce al massimo 3 barche all’anno. Sono andata da lui dicendo inizialmente che volevo una sanpierotta e ho versato un acconto per quella. Poi sono tornata con una nuova idea ed è stato lì che abbiamo iniziato a capire insieme come concretizzarla. Non aveva mai fatto una barca del genere prima, quindi è stato un progetto su cui abbiamo lavorato insieme. Andavo lì molto spesso ed è stato emozionante vedere i primi disegni e poi vedere che la barca prendeva forma piano piano. Ci sono voluti tre mesi in tutto.
VN: Sapevi già come guidare un barchino?
LM: In realtà sto ancora imparando! Ho preso lezioni e spero che tra un paio di mesi sarò a posto. E poi il varo è stato un momento così bello. Tutte le mie persone preferite erano lì per questo nuovo traguardo dopo le sculture di vetro. Avevo un prete lì per la benedizione. E dato che non potevo rompere una bottiglia di Champagne sulla prua, ho provato la tecnica della Formula Uno, e così sono finita per spruzzarmi tutto il vino in viso e per lavare anche il prete! Non sono sicura di quanto mi porterà fortuna, ma è stato divertente!
VN: Essendo uno spirito nomade, hai mai avuto un momento in cui hai pensato che la vita a Venezia non fosse più per te?
LM: No, anche se nel 2022 e 2023 ho avuto una breve parentesi a Lisbona e poi ho trascorso 8 mesi in Africa. La gente parla del Mal d’Africa ma io avevo il Mal di Giudecca, mi mancava moltissimo. Tornando dall’Africa, ho davvero capito che Venezia era casa per me. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, e da nessun’altra parte mi sono sentita a casa come alla Giudecca. Lì è dove sono arrivata otto anni fa, ed è dove sono rimasta.
VN: Comprare casa alla Giudecca è stato il passo successivo.
LM: Suppongo che sia il mio modo per mettere un po’ di radici, e aveva senso farlo lì. Il progetto della casa sta andando bene, c’è ancora molto lavoro da fare, ma ora che la barca è finita, posso concentrarmi di più su questo. Mi sono trasferita temporaneamente al Lido mentre proseguono i lavori nella casa nuova. E il Lido d’inverno…e a me piace molto. Vado in bicicletta, faccio lunghe passeggiate. Anche se può sembrare isolante, c’è qualcosa di rigenerante in tutto questo.
VN: Hai altri luoghi speciali a Venezia?
LM: Il Bar Palanca sulla Giudecca è davvero il mio centro di gravità, e il caso vuole che abbia comprato una casa a soli dieci metri di distanza. C’è un senso di calore e comunità così amichevole e familiare lì, e non c’è modo migliore per iniziare la giornata che con un caffè servito dall’unico e inimitabile Andrea Barina!
Anche Pellestrina è uno dei miei luoghi preferiti. Per anni, prima di possedere una barca, mi sono svegliata presto per prendere il vaporetto e andare a vedere i pescatori che tornavano dalla nottata in mare. Pellestrina è un altro spazio liminale affascinante, essendo questa sottile striscia di terra con la laguna da un lato e il mare dall’altro. Poi, amo Sant’Erasmo. Ho un’amica lì che coltiva carciofi e ci vado ogni volta che ho bisogno di quella pratica meditativa, di sporcarmi le mani! Mi sento più me stessa quando lavoro in natura. E poi, beh, amo Vino Vero. È come un secondo ufficio conviviale per me.
VN: Come vedi Venezia dal punto di vista artistico in questo periodo?
LM: C’è molto di più di quello che potrebbe sembrare a prima vista, ci sono artisti (e amici) brillanti che vivono e lavorano qui, come Sophie Westerlind, Lucia Veronesi, Lorenzo Vitturi, Michele Bubbaco, Lorenzo Mason, Mariateresa Sartori, Giorgio Andreotta Calò, per citarne alcuni. Proprio la settimana scorsa sono andata a trovare Elisabetta Di Maggio nel suo studio, che, senza saperlo, è letteralmente di fronte al mio ufficio: uno spazio e un lavoro incredibile. Sono felice di poter rendere tutto questo in qualche modo più visibile attraverso il mio lavoro. Certo, non è semplice. Spesso artisti più giovani fanno fatica a trovare uno spazio o non possono permetterselo, a volte vengono cacciati perché lo spazio deve essere usato per altri scopi. Quindi sì, è una sfida, e sento il desiderio di aiutare in qualche modo.
VN: Venezia sa essere complessa eppure appagante. Qual è la tua forma di resistenza?
LM: C’è questa citazione di Leonard Cohen, di cui sono una grande fan, che dice: Se non diventi l’oceano, soffrirai ogni giorno di mal di mare. E io mi sento così con Venezia. Devi adattarti e fluttuare con lei, in un costante stato di transizione, che è, per me, la natura stessa della vita.